Caro D’Alema ti scrivo.
di Mauro Zani
Ho ascoltato con molto interesse la tua lezione magistrale in occasione del centesimo anniversario della nascita del partito comunista d’Italia.
L’ho trovata lucida e condivisibile per tanti aspetti.
Il ruolo di Gramsci anzitutto che di fatto con le tesi di Lione getta le fondamenta culturali di ciò che diverrà il PCI. Non molti oggi forse sanno che a Livorno non intervennero né Gramsci , né Togliatti ed era giusto ricordare (l’aveva già fatto Tortorella) che quell’evento fu solo il precursore del PCI.
E che Gramsci , in particolare scrisse parole critiche sul modo , sui tempi e sui contenuti della scissione bordighiana. L’ingegnere di Ercolano come tu con ironica, simpatica nuance lo hai definito.
Anche su ciò che hai definito come il “realismo” di Togliatti hai detto cose non banali poco considerate ai nostri tempi.
Vorrei però avanzare, alcune notazioni critiche.
Condivido la tua analisi sul rapporto tra il PCI e il grande movimento del 1968.
Io come te, nonostante la mia appartenenza alla FGCI (siamo coetanei) restavo critico nei confronti del partito. Ma mi iscrissi proprio nel ’68 al PCI per cercar di far valere le ragioni di un movimento che sollevava temi e incalzava la sinistra a rinnovarsi. Faccio fatica però a comprendere la ragione per la quale ometti di far cenno all’ offensiva terroristica organizzata da parti dello Stato e dai gruppi neofascisti allorché si comprese che gran parte di quel movimento in Italia, a differenza che in altre parti d’Europa, confluiva nel PCI. Intendo l’attacco eversivo che si svolse a partire dalla prima strage di Piazza Fontana.
Altrettanto non riesco a capire per quale ragioni accrediti la tesi, ignobile e storicamente in gran parte infondata, dell’album di famiglia (se ho ben compreso) per quanto riguarda la nascita delle BR.
Non puoi , non devi, caro compagno, credere davvero che si trattasse di un puro fenomeno di ribellismo. Lo dovresti almeno alla memoria di Ugo Pecchioli persona che tu stimavi e che un giorno di fronte a me ne rimarcasti l’umano coraggio.
Non puoi e non devi ignorare il ruolo di indirizzo e la concreta operatività di ambienti internazionali nella “offensiva” almeno delle seconde BR.
A tal proposito , al di là delle tesi complottistiche più estreme, ti dovrebbe bastare leggere le conclusioni dell’ultima Commissione stragi presieduta, tra l’altro, da un democristiano, ma prima ancora tratte provvisoriamente da una persona che tu ben conosci come Pellegrino.
Si trattò in verità di un ribellismo iniziale subito intercettato ed eterodiretto da quelle forze anticomuniste che dovevano interrompere ad ogni costo il dialogo aperto tra Moro e Berlinguer.
Aggiungo che hai certamente ragione sulle diverse visioni che stavano alla base di quel confronto.
Ma ciò non ti dovrebbe liberare dal denunciare il ruolo attivo della Nato, di ambienti USA con la compiacente, tranquilla “aspettativa”, dell’URSS
Quanto alla piegatura moralistica che tu sembri accreditare nella sollevazione della “questione morale” da parte di Enrico Berlinguer. Non sono affatto d’accordo.
Tu dici che si trattava di una crisi del sistema politico e istituzionale.
Hai ragione.
Peccato che fosse proprio questa l’analisi che stava alla base della questione morale.
Peccato (sai io son rozzo campagnolo) che in quella crisi Berlinguer, a mio modestissimo parere, già intravedeva anche il pericolo che il fenomeno corruttivo tra politica ed economia potesse coinvolgere anche parti del PCI. E sulla base della mia esperienza successiva credo di poter dire che, quantomeno in alcuni gruppi e territori, (mettiamola così) il timore di Berlinguer era fondato.
Sull’onda della sfida craxiana taluni pensarono di potersi adeguare. Portarsi al livello. Fortunatamente la cosiddetta tangentopoli (anch’essa probabilmente non dovuta semplicemente al “genio” di un Di Pietro) fermò molti sull’orlo del baratro.
Quanto all’evoluzione post comunista. Avrei molto da dire.
Ricordo solo un congresso a Roma dove vantasti a lungo, con la consueta intelligenza e abilità dialettica, le sorti progressive e magnifiche della globalizzazione. Non posso dimenticarlo.
“La sordità” di quel Cofferrati di cui pure avevi rilevato, in altra sede l’alto tasso di riformismo.
Non lo posso dimenticare perché io, coordinatore della tua segreteria, intervenni a sua difesa (oggi davvero per molte ragioni non lo rifarei) proponendo un’altra e critica versione della globalizzazione in atto.
Lo stesso giorno un autorevole membro del tuo staff venne a propormi di lasciare il coordinamento politico per dedicarmi all’economia. Compresi agevolmente che avevo chiuso.
Cose che accadono in politica.
Niente di cui scandalizzarsi. Nulla da rimproverare , avevamo idee molto diverse.
Poi Firenze . Gli stati generali.
Dove si liquidò la parola partito. Mi par d’aver colto (ma forse sbaglio) un’autocritica relativa all’infausto evento, preparato dal mio successore, che poi aprì la strada alla segreteria di Veltroni. Anche in quella occasione intervenni a chiarire che una sommatoria di ceto politico non avrebbe risolto il problema della legittimazione degli ex comunisti.
In quel momento però prevalse una tattica di corto respiro (lo dissi in pubblico) volta a surfare sull’onda dell’antipartitismo.
Diciamo che ci fu un cedimento strutturale, diciamo.
Ci s’incamminò su di un’impervia scorciatoia. E alla fine: il PD.
A parte questi rapidi cenni su tutto il resto siamo d’accordo , compagno.