Emanuele Macaluso a Portella della Ginestra per il 1 maggio 2019
In occasione del 1 maggio 2021 pubblichiamo l’ultimo comizio di Emanuele Macaluso che ha avuto luogo a Portella della Ginestra il 1 maggio 2019.
Testo dell’intervento
Grazie. Grazie, compagne e compagni. E’ stato ricordato che da qui parlava Nicola Barbato, uno dei capi dei Fasci siciliani. E dobbiamo ricordare che quel grande movimento dei contadini, dei lavoratori siciliani fu represso da un altro siciliano: da Francesco Crispi. Il che ci dice che la società è divisa, è divisa in classi. Dobbiamo ricordare appunto che quel grande movimento fu represso e Nicola Barbato conobbe il carcere e un altro siciliano però, Pompeo Colajanni, capo dei partigiani nel Piemonte prese il nome di Nicola Barbato per ricordare che quel movimento e quella lotta di Nicola Barbato qui in Sicilia si ricollegava alla grande lotta per la liberazione del Paese dal Fascismo e Pompeo Colajanni portò con onore quel nome in tutta l’Italia liberata. E’ stato un grande momento questo, un momento che ha fatto si che le ossa di Nicola Barbato fossero ricordate come quelle di un martire e un di combattente della Libertà d’Italia come diceva appunto Pompeo Colajanni.
Scusatemi ma io vi debbo spiegare anche perché sono qui oggi. Nel 1947, dopo la strage di Portella della Ginestra, In Sicilia venne il compagno Giuseppe Di Vittorio e volle che si organizzasse il primo grande congresso regionale della CGIL. E si organizzò quel congresso a Caltanissetta dove io ero segretario della Camera del lavoro e si erano sviluppati grandi movimenti di contadini, grandi lotte, non solo nella provincia di Caltanissetta ma in tutta la Sicilia. In quel congresso come ho ricordato, io ho conosciuto anche Pio La Torre, che venne in rappresentanza dei giovani braccianti e entrava per la prima volta nell’organizzazione sindacale, del resto suo padre era un bracciante della periferia di Palermo. E Pio La Torre da allora, da quel congresso, ha combattuto fino alla sua morte per il piombo della mafia. Ebbene in quel congresso Di Vittorio stette tre giorni a Caltanissetta e ricordò anche la strage di Portella e fu allora che chiese a me di fare il segretario regionale della CGIL. Avevo 23 anni e mi sembrava un incarico e una responsabilità enorme in un momento di fermento sociale ma anche di repressione. Ebbene io penso che la CGIL ha onorato quella data del Primo maggio 1947. E come è stato ricordato nel 1948 dopo l’elezione del ’48 quando si pensava che il movimento avesse avuto un altro colpo devcisivo per arretrare non fu così. Io ricordo questa piazza enorme di tanti lavoratore di Piana degli Albanesi di San Cipirrello, di San Giuseppe Jato e anche di Palermo. C’era stata una grande manifestazione, una manifestazione che voleva dire all’Italia che non ci arrendevamo, voleva dire alle forze della reazione che non ci arrendevamo, che eravamo qui per combattere ancora. E del resto guardate, in quei giorni del ’48 mentre eravamo qui a Portella, a Palermo c’era l’occupazione del cantiere che è durata 40 giorni, 40 giorni di occupazione non solo per difendere il salario, non solo, ma perché anche li c’era la mafia che governava quelli che venivano chiamati gli avventizi e cioè quegli uomini che quando arrivavano le navi dovevano ripulirle, lavarle e aggiustarle se era necessario e rimetterle di nuovo in mare. E chi li governava questi operai? Li governava un gruppo mafioso che riteneva di avere il monopolio dell’occupazione di questi lavoratori. E in quella lotta noi ponemmo il problema della fine di questa tutela mafiosa e di questo modo di governare. E si realizzò nei fatti l’unità del movimento contadino che qui celebrava l’anniversario di Portella della Ginestra con la classe operaia di Palermo la quale era combattiva non solo per i contratti ma per la conquista dei diritti e sulla lotta per la libertà e la lotta alla Mafia.
Ebbene è questa la ragione per cui io non potevo e non volevo mancare a questo forse ultimo appuntamento della mia vita. Perché volevo tornare qui. Perché questi sono stati i momenti della mia formazione. Io ho scritto in uno dei miei libri, che per me, che ho avuto poi tanti incarichi politici, la mia formazione politica, sociale, umana, umana, è stata negli anni in cui sono stato nel sindacato qui. Senza quell’esperienza, senza quella conoscenza, senza quel rapporto umano con migliaia e migliaia di lavoratori, con gli zolfatari, con i metallurgici con i contadini, con i braccianti e capire capire qual era il loro problema. Nessuno guardate anche nella sinistra non capiscono molte cose di queste faccende. Che cosa significa quando gli operai del cantiere scioperavano per 40 giorni e gli zolfatari scioperarono una volta per 60 giorni, 60 giorni e i piccoli commercianti dei paesi di Riesi, di Sommatino, e di altri paesi della provincia di Caltanissetta, facevano credito per dagli da mangiare. Ma voi pensate che io la notte potessi dormire? Pensare a quegli uomini, a quelle donne, a quei bambini. Concludere uno sciopero di quegli anni significava per me, per quelli che partecipavano, un modo di diventare uomini un modo diverso di concepire il lavoro, di concepire che cosa significa la battagli sociale e la battaglia sindacale e questo guardate ti resta. A me è rimasto. Ho fatto tante cose nel partito, ho diretto l’organizzazione del PCI nazionale, sono stato deputato, senatore, sono stato direttore de L’unità, ma la mia esperienza fondamentale la mia nascita politica anche come persona nasce qui. Per questo io a 95 anni voglio tornare a dirlo, a dirlo a dirlo ai giovani: badate che se non unite la vostra militanza al mondo del lavoro, che oggi come hanno ricordato qui i compagni dirigenti sindacali hanno nuovi ma gravi problemi. Se non leghiamo e se non cerchiamo di capire che questa è la questione fondamentale: la questione sociale del nostro Paese ed è quello, lo debbo dire con amarezza, che in questi anni anche i partiti che si dicono di sinistra non hanno capito. La questione sociale, la questione sociale. Perché una forza di sinistra che non capisce che la questione sociale è la questione essenziale della sua esistenza stessa, della ragione per cui esiste la sinistra. La sinistra esiste perché c’è una questione sociale e chi pensa di poter fare una sinistra senza la questione sociale si sbaglia, ed è questo che in questi anni purtroppo è mancato e mi ha addolorato. Io ho cercato per quel poco che posso fare di scrivere, perché io tutti i giorni scrivo qualcosa, e ho ricordato a questi compagni a questi amici che la questione sociale è stata a volte cancellata. Ci sono stati governi intestati al Centro-sinistra che non hanno più riconosciuto nemmeno il sindacato come interlocutore, il sindacato non come quello che detta le leggi no, ma quello con cui bisogna fare i conti, perché significa fare i conti con il mondo del lavoro ed è questa la questione che mi preme sottolineare ancora una volta a questa platea.
Concludo dicendovi una cosa. Nel 1947, quando si consumò quella strage, c’era l’unità sindacale, c’era l’unità sindacale. Io ero segretario regionale e con me c’era Sanzo, mi ricordo un vecchio tipografo socialista postelegrafonico, cattolico che faceva parte del sindacato cattolico. Ed era l’unità sindacale, l’unità sindacale che poi si è rotta dopo il ’48. Io mi ricordo bene perché facevo parte della direzione nazionale della CGIL. Ricordo ancora quel giorno in cui era riunito il direttivo della CGIL e Pastore, Rapelli, Rubinacci, i dirigenti della corrente cattolica uscirono e fecero la scissione. E ricordo il volto di Di Vittorio, perché purtroppo debbo dire che ci fu forse qualche compagno che disse: “meno male che se ne sono andati”. Di Vittorio no. Ricordo la sua faccia triste, i suoi tentativi di mantenere l’unità. Io capisco che dopo il ’48 era difficile. Il mondo si separava, c’era la guerra fredda, c’erano divisioni nazionali e internazionali che condizionarono il sindacato in negativo ma condizionarono il sindacato e il sindacato subì, io dico subì la scissione.
Oggi la situazione è cambiata. Oggi non c’è più nessuna ragione nessuna ragione perché non ci sono più quei partiti non c’è più la guerra fredda e quindi bisogna lavorare per l’unità del sindacato. A me ha fatto gran piacere che oggi il compagno Landini, in un intervista rilasciata ai giornali, ha detto proprio queste cose. Io avevo parlato anche con lui di queste questioni presentando il libro su Portella alla CGIL e vedo che Landini ha posto con forza questo problema. Si farà? Non si farà? Però bisogna porre la questione. Bisogna dire ai lavoratori che per essere forti, per incidere in una situazione politica grave grave gravissima, una situazione politica in cui la destra ha ripreso il manico del potere e lo esercita come vediamo che lo esercita. Ebbene io ritengo che oggi la forza organizzata del mondo del lavoro purtroppo è solo il sindacato il quale ha una grande responsabilità, una responsabilità che è sociale ma è anche politica che è culturale, che è di formazione delle coscienza. il sindacato oggi può incidere per contrastare processi politici negativi, vergognosi.
Stamattina su un giornale ho letto che Orban il governante ungherese che ha soppresso già alcune delle libertà fondamentali, quelle dell’indipendenza della stampa e della magistratura ha detto: io ho impedito che in Ungheria entrasse anche un solo emigrato. il ministro degli interni italiano Salvini oggi ha impedito che entrasse anche un solo immigrato via mare. Ecco l’unità. L’unità della destra fatta sulla pelle del mondo più disagiato. Meglio vederli annegare che salvarli. E’ una vergogna. Se penso che cosa è stata l’emigrazione italiana. Questi cialtroni non lo sanno o non lo vogliono sapere. Ma io sono andato, negli anni ’50 negli anni ’60, sono andato in Germania, sono stato in Belgio, sono andato a Marcilelle, sono stato arrestato in Belgio perché facevo una riunione di emigrati. E come vivevano i nostri emigrati? Come vivevano? Li in Germania vivevano accampati. Quando voi vedete questi braccianti che vivono in queste condizione ebbene io vi posso assicurare che li ho visti gli italiani, vivere nelle stesse condizioni. E oggi tutto questo è stato dimenticato. Quello che è stato fatto ai nostri fratelli ai nostri padri ai nostri figli. Ricordare quanti ne morirono a Marcinelli, quanti italiani in quella disgrazia della miniera di Marcinelle, quanti siciliani. Ebbene abbiamo dimenticato la tragedia di quelli che dovevano passare attraverso i monti per andare in Francia. C’è stato anche un film su questo, bellissimo degli anni ’60. Ebbene questa è la storia, storia e memoria. Un popolo che perde la memoria perde il domani. La memoria serve per costruire il domani. La memoria serve per non commettere errori che sono stati fatti, Per sapere come girava il mondo e per farlo girare diversamente. Questa è la memoria che dobbiamo conservare e quindi anche la memoria di Portella. Io penso che questa giornata serve a dirci: compagni che siete morti qui noi non vi abbiamo dimenticato. Noi siamo qui per proiettare il messaggio che ci avete dato per proiettarlo nel domani ai giovani ai ragazzi per fare una Sicilia migliore e un’Italia migliore. Onore ai caduti di Portella e a tutti i caduti per la lotta alla Mafia, all’arroganza, alla prepotenza.