In ricordo di Umberto Terracini
A 37 anni dalla scomparsa di Umberto Terracini, autorevole co-fondatore del Pcd’I, Presidente dell’Assemblea Costituente e dirigente di primo piano del Partito Comunista Italiano, un ricordo estratto da “Quando diventammo comunisti”, una conversazione tra Umberto Terracini e Mario Pendinelli.
Pendinelli: 《Il Partito comunista d’Italia ebbe tra i suoi massimi fondatori Bordiga, Gramsci, lei, Togliatti. Eravate tutti i giovanissimi; c’era forse anche una rottura di generazioni tra voi e il vecchio gruppo dirigente socialista?》.
Terracini: 《Forse parlando di una rottura di generazione si corre il rischio di farsi suggestionare un po’ dal linguaggio attuale, dalle cose che stanno avvenendo da alcuni anni sulla scena politica italiana e più in generale nelle coscienze di molti giovani di oggi. Si può capire perché siano stati particolarmente dei giovani e dei giovanissimi ad assumere l’iniziativa per la creazione di un partito veramente rivoluzionario. Basta pensare che la Federazione giovanile socialista, guidata da Luigi Polano, aderì quasi per intero alla scissione. Noi giovani e giovanissimi avevamo appunto, come lei ha ricordato, una formazione e un rigore culturale che mancava largamente ai dirigenti massimalisti del Partito socialista.
I riformisti avevano una loro cultura, un certo senso della storia. I massimalisti, no. Non voglio dire che i dirigenti massimalisti fossero particolarmente aridi o insensibili agli insegnamenti teorici. Era anzi tutto il contrario. Però in genere essi mescolavano in modo approssimativo teorie e dottrine di segno anche opposto. Sicché non avevano una dignità culturale, e questo spiega perché in fondo fossero i riformisti, benché minoranza, a guidare di fatto il partito. Così si può capire facilmente come i giovani rivoluzionari furono i primi a staccarsi dal massimalismo e a confluire nelle frazioni comuniste. Quando ci costuimmo in gruppo dirigente delle frazioni comuniste all’interno del PSI, noi così giovani, compimmo in qualche modo un atto di orgoglio, forse di presunzione. E i nostri avversari socialisti più anziani non ci risparmiarono le frecciate più beffarde. Allora né noi né loro potevamo pensare che avremmo formato un grande partito》.